2-LA MUSICA SACRA NEL RINASCIMENTO

LE GRANDI SCUOLE POLIFONICHE

Il genere sacro per eccellenza è la “messa“. Il termine “messa” nel linguaggio musicale indica l’insieme dei canti che accompagnano la funzione religiosa. Questi brani hanno caratteristiche diverse a seconda del momento della celebrazione per la quale sono scritti: iniziare o concludere la cerimonia, sottolinearne i momenti, annunciare letture e preghiere. I principali sono. Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei.

Formata da brani con caratteristiche diverse, la messa è quindi una composizione molto complessa e articolata, la più prestigiosa tra le forme di musica sacra. Tre sono i principali centri nei quali si sviluppa la produzione di messe: le Fiandre, Roma e Venezia.

1-LA SCUOLA FIAMMINGA

LA SCUOLA FIAMMINGA

Nella tecnica polifonica eccelle la scuola fiamminga. Lo sviluppo e la ricchezza delle città delle Fiandre (attuale Belgio) e dei Paesi Bassi favoriscono infatti la costruzione di grandi cappelle musicali che, grazie alle generose elargizioni delle nuove classi medie, sono composte da cantori professionisti. Per tutto il XV secolo la scuola fiamminga è il centro della nuova musica. La polifonia si complica e aumenta il numero delle voci, giunge addirittura a 36 e oltre. Nascono così vere e proprie “cattedrali sonore”, musiche assai complicate, solennI e imponenti.

Il canone e l’imitazione fra le parti sono i procedimenti compositivi più usati dai fiamminghi, che raggiungono in essi un’abilità veramente straordinaria. La maestria del compositore si manifesta non tanto nell’originalità della melodia usata, quanto nel modo con cui essa viene combinata polifonicamente. L’elaborazione contrappuntistica è così complessa e ardita che il tema risulta difficilmente riconoscibile e il testo sacro del tutto incomprensibile.

I FIAMMINGHI E L’ITALIA

Benché originari delle Fiandre, i compositori fiamminghi intrattengono fitti rapporti con tutto il resto dell’Europa diffondendovi il loro stile. E’ così che le corti italiane del Quattrocento registrano la presenza dei più noti maestri delle Fiandre, ma anche di una moltitudine di cantori e strumentisti: Guillame Dufay (1400-1474) è presso la cappella papale dal 1428 al 1437 così come qualche decennio più tardi Josquin Deprés (1450-1521), ultimo grande rappresentante dello stile fiammingo, mentre Jacob Obrecht (1450-1505) ricopre per lungo tempo l’incarico di maestro di cappella a Ferrara.

2-LA MUSICA SACRA A ROMA

Potenza economica di tutto rispetto, la Chiesa governa nel Cinquecento su campagne e città e tratta alla pari con i sovrani delle altre nazioni. Molti pittori, scultori, architetti e musicisti giungono a Roma da tutte le parti d’Italia, attratti da una grande richiesta di artisti. L’arte che qui si crea è austera e solenne, adatta a celebrare la magnificenza di un Dio potente, che regge i destini di ciascuno ed è superiore a ogni umana debolezza. Strettamente legata alla liturgia, priva di accompagnamento strumentale e polifonica: queste sono le caratteristiche più evidenti della musica sacra che si esegue a Roma nel Cinquecento. Al contrario di quella veneziana, la musica sacra romana è del tutto diversa da quella profana. La chiesa romana ha infatti già da tempo separato il clero dai laici, i sacerdoti dai fedeli: diverse le funzioni, il ruolo, le abitudini di vita e la partecipazione alla vita religiosa. Durante la Messa un coro specializzato interviene in pochi momenti precisi. Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei diventano le uniche parti cantate della messa e sostituiscono i canti che fin dalle origini avevano accompagnato la liturgia. I compositori al servizio della Chiesa hanno il compito di rendere solenne e maestoso il rito religioso: la polifonia si complica e le voci danno vita a un intreccio affascinante ma difficile da eseguire; il testo, cantato in latino secondo l’uso della chiesa, è spesso del tutto incomprensibile. D’altronde già da qualche secolo si sono affermata le lingue volgari e il latino è una lingua sconosciuta alla popolazione. Per sottolineare la distanza fra sacro e profano, fra cielo e terra, la Chiesa romana proibisce l’utilizzo di melodie profane e l’uso degli strumenti, da sempre legati a occasioni mondane, come divertimenti e feste, ma anche parate e battaglie. La musica che risuona dentro le chiese di Roma deve essere immediatamente riconoscibile come diversa da quella che riempie le strade, piazze e dimore private.

IL CORALE LUTERANO

Sulla totale incomprensibilità del testo nella musica sacra si concentra, all’inizio del Cinquecento (1517 Riforma protestante), la critica severa di Martin Lutero: la Bibbia, cioè la parola di Dio, deve essere ascoltata e compresa da tutti, afferma Lutero, e la musica deve essere priva di complicazioni, perché l’intera assemblea possa partecipare ai canti. Lutero contrappone al fasto della polifonia romana la chiarezza e l’immediatezza della sua nuova musica: il corale è infatti una breve forme vocale a quattro parti caratterizzata da un’estrema semplicità.

Il testo non è più in latino ma nelle lingue nazionali e le melodie sono tratte dal repertorio popolaresacro e profano. Lutero preferisce proprio quelle maggiormente diffuse e conosciute, che tutti possono cantare durante il rito religioso. Mentre l’assemblea dei fedeli canta la melodia, il coro esegue le altre parti, senza mai complicare eccessivamente la struttura musicale. (Ascolta un Corale di Bach)

GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA

Palestrina-14Nasce a Palestrina, vicino a Roma nel 1525. La sua formazione e la sua attività di musicista si svolgono interamente nell’ambito della Chiesa romana: da fanciullo cantore nella basilica di Santa Maria maggiore a maestro di cappella pontificia, incarico che, sia pure con vicende alterne, tiene fino alla morte, avvenuta nel 1594. I suoi funerali hanno luogo in San Pietro e lì, sotto la Cappella nuova, viene sepolto.

La produzione di Palestrina, a eccezione di alcune composizioni profane giovanili, è quasi esclusivamente sacra: più di 100 messe, più di 250 mottetti (brani vocali sacri a più parti) e brani liturgici di vario genere. Attento alle esigenze di austerità emerse dal Concilio di Trento, Palestrina semplifica la tecnica polifonica, cercando di restituire alla musica sacra chiarezza e semplicità. La sua “Missa Papae Marcelli” viene infatti additata come esempio del nuovo stile dai papi del periodo della Controriforma. In realtà, pur presentando una trama polifonica più chiara rispetto alle produzioni precedenti, la “Missa Papae Marcelli” rimane una costruzione musicale estremamente complessa. Caratteristica fondamentale dello stile di Palestrina è la bellezza delle linee melodiche nelle quali è rintracciabile l’influsso del canto gregoriano. Sull’esempio lasciato da Palestrina continuano a lavorare i musicisti della cappella pontificia per tutto il Seicento e, mentre tutt’intorno si sviluppa la musica strumentale, Roma rimane un’oasi esclusivamente vocale.

3-LA MUSICA SACRA A VENEZIA

Il Cinquecento è il periodo della massima espansione territoriale di Venezia che controlla ora tutti i traffici con l’Oriente. Un secolo luminoso nella vita della Repubblica, testimoniato da una straordinaria fioritura artistica. Alle arti, e fra esse la musica, spetta il compito di rappresentare lo splendore del doge, del governo che egli impersona e dell’intera città. Ed è nella basilica di San Marco che risuona la musica sacra della Repubblica veneziana.

Dentro la basilica di San Marco a Venezia esistono due cantorìe, ossia due spazi appositi per il coro, ciascuna è dotata di un organo, in cui operano due organisti, trenta cantori rinomati per la loro bravura e il gruppo degli archi e dei fiati a cui si aggiungono, nelle occasioni importanti, i suonatori di tamburo e i famosi sei trombettieri del doge.

cantorie

Ecco la disposizione dei cori e degli strumenti nella basilica. In azzurro sono evidenziate le zone riservate alle due cantorie ai lati del presbiterio centrale.

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La distanza tra le due cantorìe e le grandi dimensioni della chiesa provocano un ritardo sonoro che rende difficoltoso per i due cori cantare la stessa musica simultaneamente.

I maestri di cappella di San Marco, che avevano il compito di comporre musica sacra e profana per tutte le cerimonie religiose e civili, risolsero il problema scrivendo musica antifonale in cui i cori opposti cantavano uno dopo l’altro. L’effetto stereofonico che ne risultò ebbe grande successo e l’effetto a eco divenne una caratteristica distintiva di tutta la musica veneziana del Cinquecento, musica che rispecchiava il fasto e la gioia di vivere della Repubblica veneta.

L’inizio di questo filmato (realizzato in una chiesa diversa) può darvi l’idea di come potevano essere disposti i musicisti nel caso di un’esecuzione strumentale.

A differenza della musica sacra romana, in quella veneziana gli strumenti sono parte essenziale della musica eseguita durante la celebrazione della Messa: l’organo sottolinea il passaggio fra i diversi momenti del rito e, insieme agli archi e ai fiati, accompagna il coro creando un’atmosfera brillante e sfarzosa. La musica sacra composta dai maestri veneziani del Cinquecento, come Andrea Gabrieli e suo nipote Giovanni, è polifonica, cioè cantata da più voci che eseguono contemporaneamente melodie diverse. I giochi di botta e risposta fra le varie voci danno vita a una musica solenne e festosa, che ben si addice a una Repubblica ricca e indipendente, che difende gelosamente la propria gioia di vivere e la propria autonomia.

ANDREA E GIOVANNI GABRIELI

Zio e nipote, sono i principali artefici della musica veneziana del Cinquecento, entrambi organisti in San Marco a Venezia, ci regalano una musica grandiosa e magnificente.

Le informazioni relative alla vita di Andrea sono scarse: nasce a Venezia intorno al 1510 e un viaggio compiuto in Austria e Baviera gli consente di farsi conoscere e apprezzare nell’ambiente musicale Europeo. Dal 1564 è organista in San Marco, incarico che mantenne fino alla morte, avvenuta nel 1585.

artworks-000163398130-6st4xc-t500x500.jpgAnche Giovanni nasce a Venezia, nel 1557, e ha come insegnante di musica lo zio. Un lungo soggiorno a Monaco di Baviera segna l’inizio della sua fama europea. Come era successo ad Andrea, anche Giovanni raccoglie intorno a sé numerosissimi allievi, provenienti soprattutto dall’Europa del nord. Alla morte dello zio, gli succede nell’incarico di organista in San Marco. Muore nel 1612. Le composizioni sacre e profane dei Gabrieli sono soprattutto occasione di spettacolo e di magnificenza. L’impiego marcato del contrasto contraddistingue la produzione di Andrea, incline a usare più cori o più gruppi strumentali, in modo alterno e in sovrapposizione, come nella “Battaglia” e nelle sue sei “Messe”. La tendenza alla grandiosità viene approfondita da Giovanni: nelle “Canzoni et Sonate” e nelle “Symphoniae sacre”. La ricchezza dell’organico strumentale e la varietà di combinazioni tra voci e strumenti danno vita a sonorità molto più vicine alla sontuosità barocca che non all’espressività rinascimentale.