STORIA DELLA CANZONE

LA CANZONE

LA CANZONE DALLE ORIGINI AL NOVECENTO

La canzone, oltre a essere una forma musicale molto semplice, è forse il genere più diffuso e ascoltato nella nostra società. Per la sua facile e immediata comprensione è infatti utilizzata nelle più svariate situazioni (nei concerti, in chiesa, con gli amici, nelle feste, come colonna sonora, nelle scuole, ecc.) ed è alla base della cosiddetta “musica leggera” quella musica che si può eseguire anche se non si hanno conoscenze musicali molto approfondite.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la canzone è una forma musicale molto antica, che ha le sue origini nelle civiltà primitive. Ad esempio, nell’antica Grecia era abbinata alla poesia e Omero recitava i suoi poemi accompagnandosi con la cetra; nel Medioevo i menestrelli e i giullari giravano di castello in castello cantando le gesta dei cavalieri attraverso canzoni e anche il canto popolare, sin dalle origini, si è espresso quasi sempre in questa forma musicale.

E’ però solo alla fine del Settecento in Francia che diventa una forma di spettacolo musicale e nasce il concetto moderno di canzone: componimento musicale e poetico, nato per celebrare determinate ricorrenze o per rendere omaggio ad una persona.

In Italia la troviamo nelle cantate regionali e nell’età rivoluzionaria napoleonica si afferma attraverso gli inni politici.  L’altro filone in cui emerge è la canzone sentimentale, genere che si realizza attraverso uno scambio continuo di melodie e spunti con le arie del melodramma (la canzone napoletana “Te voglio bene assje, e tu non pienze a me”, di Sacco e Donizetti). Questo genere di canzone si diffonde velocemente e si ha notizia che già nel 1839 si teneva, nella grotta di Pozzuoli, un concorso di canzoni improvvisate che venivano giudicate e premiate direttamente dal pubblico.

IL RISORGIMENTO

Il Risorgimento introduce l’inno patriottico, che porta alla nascita di un sentimento nazionale diffuso, capace di infondere un senso di unità spirituale oltre che musicale.

Alla canzone italiana è stata attribuita la capacità di interpretare e di spiegare, ancora meglio della storia e delle cronache politiche, le vicende degli italiani e in questo senso si può citare il “Canto degli Italiani” di Novaro e Mameli (1848) noto come Fratelli d’Italia   Spartito – INNO DI MAMELI.
Nell’ultimo decennio dell’Ottocento si afferma la “Canzone da salotto” di Francesco Paolo Tosti – e la “Romanza” di Gastaldon “Musica proibita”, seguita da quella napoletana d’autore: “A vucchella” (1892) di Tosti e D’Annunzio, “O sole mio” (1898) di Di Capua,     “I te vurria vasà” (1900) di Russo e Di Capua. Sono gli anni dei “caffè concerto”, delle operette e dei primi fonografi.

INIZIO DEL 1900

L’irruzione delle masse sulla scena politica genera nuovi canti auto rappresentativi, quali “l’Inno dei lavoratori” (1886) di Filippo Turati ed Amintore Galli, “Bandiera Rossa” (1908) di Carlo Tuzzi, “Bianco Fiore” dei cattolici “Addio Lugano” (1895) degli anarchici; l’emigrazione è cantata in:

e più tardi in “Core ‘ngrato (1911). Le imprese coloniali generano “Inno a Tripoli” (1912) e “Inno a Roma” scritto da Giacomo Puccini.
La Belle Epoque si chiude all’alba della Grande Guerra con le canzonette come “Ninì Tirabusciò” (1911) e con Giuseppe Blanc che musica il testo de “Il commiato” (1909) la canzone futura base per l’inno fascista “Giovinezza”. Diversi brani furono ripresi ed adattati ad altre esigenze, ora politiche ora di commento agli avvenimenti quotidiani.

LA CANZONE ITALIANA DAVANTI ALLA GRANDE GUERRA  (1915-1918)

La canzone, piegata alle esigenze della guerra, si afferma seguendo tre linee:

  1. l’inno patriottico di carattere plebiscitario (“Ta pum” di Piccinelli (1917) –             “La leggenda del Piave” (1918) di E.A. Mario La leggenda del Piave TESTO; “La canzone del Grappa” di Meneghetti e De Bono; “Le campane di San Giusto” di Drovetti e Arona;
  2. la canzone di protesta (“Gorizia”, “Addio padre e madre addio”, “La tradotta che parte da Novara”);
  3. la canzone sentimentale-lacrimevole “O surdato ‘nnamurato” di Cannio e Califano (1915), “Come pioveva”, “Come le rose”, “Cara piccina” di Pasquariello e Gill.

IL PERIODO INTERBELLICO (1918-1939)

LA CANZONE NELL’ETA’ DELLA RADIO

Fin dal 1924 sono sperimentate in Italia le prime trasmissioni radiofoniche, irradiate prima dall’U.R.I. (Unione Radiofonica Italiana), e poi dal 1927 dall’E.I.A.R. (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche). Il mezzo radiofonico favorisce la diffusione e la notorietà delle canzoni e provoca un’evoluzione dei modelli musicali. L’esecuzione musicale diventa il sottofondo sonoro delle attività casalinghe e del lavoro artigiano; la fortuna della musica leggera porta al rapido declino la canzone popolare; le esecuzioni radiofoniche di musica classica provocano l’allontanamento delle classi borghesi e colte dalla pratica musicale.

Nel periodo interbellico (1918-1939) ascoltiamo le ultime canzoni evocanti le atmosfere della Belle Epoque (“Vipera”, “Balocchi e profumi“e “Le Rose Rosse” di E.A. Mario; “Gastone”, “Addio Tabarin”) canzoni destinate esclusivamente ad un pubblico adulto. Con l’arrivo del fascismo la musica si rivolgerà al pubblico giovanile, con lo scopo di esaltare le virtù “maschili” della società che voleva costruire.

La canzone italiana presentava diffusi stereotipi come l’uomo guerriero e conquistatore e la donna ora vista come oggetto sessuale ora come madre, sposa fedele e sorella.
Il commercio discografico e le contaminazioni musicali arrivate attraverso gli strumentisti che lavoravano sulle navi-passeggeri lungo le rotte atlantiche, portarono ad una rapida diffusione dei ritmi americani. Il jazz, in auge grazie anche a musicisti e compositori di origine italiana, s’impongono tra i più giovani. Qualche musicologo parla di antitesi tra la musica americana di origine tribale e quella occidentale, dalle forme più classiche. Dall’America meridionale giungono i cosiddetti ritmi “latini”, sull’onda del successo del tango, che generano canzoni, quali: “Creola” (1926) e “Tango delle capinere” (1928).

S’inizia a ballare, in luoghi pubblici al suono delle orchestrine ed a casa con i dischi e con la radio. Il ballo si diffonde a tutti i livelli sociali e non è più un’attività destinata solo ad alcune classi sociali.
Sono esperienze guardate con favore anche dai futuristi, incuriositi dalla modernità dei nuovi ritmi. Una parte non irrilevante del successo, è data pure all’affermazione del cinema (si pensi alla figura di Rodolfo Valentino) e del cinema sonoro (Il cantante di Jazz – 1927).
Anche il cinema italiano lancia dei motivi di successo, come “Parlami d’amore Mariù” (nel film di Camerini “Gli uomini che mascalzoni!” con De Sica), “Vivere”, “Mille lire al mese“.
Le battaglie ideologiche del fascismo che accompagnano le grandi bonifiche: l’esaltazione delle radici rurali, la battaglia del grano e le campagne autarchiche, impongono la riscoperta del tratto popolare della canzone italiana, con decisi inserti dialettali e il recupero di motivi musicali localistici (El gagà del Motta, Chitarra romana, Firenze sogna).
Nel corso delle guerre d’Etiopia e di Spagna, durante le sanzioni contro l’Italia, la canzone si adegua al clima con la nota Faccetta Nera.

Diversi compositori si propongono di sollevare o di distrarre la gente comune dalle incertezze di quegli anni e s’impongono

  • i filoni malinconici (“Signorella”, “Non ti scordar di me“), interpretati da Odoardo Spadaro, Beniamino Gigli, Rodolfo De Angelis;
  • lo swing italiano, grazie ad autori come Gorni Kramer ed interpreti quali Alberto Rabagliati, Natalino Otto e il Trio Lescano -1940 (“Mister Paganini”, “Bambina innamorata”, “Ba-ba-baciami piccina“, “Ma le gambe”, “Non dimenticar le mie parole”) riusciva a far passare la musica nord-americana, malgrado la censura fascista;
  • il filone scherzoso, con canzoni che spesso erano una satira del regime e di alcuni influenti suoi esponenti: “Bombolo”, “Ciri biribin”, “Quel motivetto che mi piace tanto”, “Pinguino innamorato“, “Maramao perché sei morto”, “Crapa pelada”.

LA CANZONE DAVANTI A UN’ALTRA GUERRA (1940-1945)

I giovani entrano in guerra, accompagnati dai motivi del “Valzer delle candele”, di “Rosamunda”, di “Pippo non lo sa” e da quelli riproposti del decennio precedente. I compositori cercano vie di fuga, con testi poco impegnativi, divagativi e tendenti al “non sense”, quali “Tulipan“, “Evviva la torre di Pisa” e “Il Visconte di Castelfombrone” che porta al successo il Quartetto Cetra.

Arrivano anche le canzoni di guerra, come “Vincere”, “Canzone dei sommergibili“, “La sagra di Giarabub” fino a “Le donne non ci vogliono più bene“. In assoluto la canzone della guerra è “Lilì Marlen” di Lale Andersen, suonata e cantata universalmente da tutti gli eserciti in lotta.
I compositori italiani producono in quegli anni testi che rappresenteranno un clima in antitesi alla drammaticità di quei tempi, Bixio e Cherubini compongono “Mamma“, resa famosa da Beniamino Gigli nell’omonimo film; sempre il cinema lancia “Ma l’amore no” di D’Anzi e Galdieri e “Voglio vivere così” di D’Anzi e Manlio, cantata dal tenore Ferruccio Tagliavini. In particolare, la canzone “Ma l’amore no” riscuote un grande successo grazie all’interpretazione canora di Lina Termini ed all’attrice Alida Valli. Arrivano poi “La famiglia Brambilla”, “Oi Marì“, “Ho un sassolino nella scarpa“, e con la guerra partigiana (1943-1945), le canzoni di lotta, spesso riprese ed aggiornate dai canti politici della guerra di Spagna o dell’emancipazione politica dei lavoratori (“La Brigata Garibaldi”, “Pietà l’è morta”, “Fischia il vento“, “Bella ciao“).
Nel sud d’Italia, mentre si stavano imponendo i nuovi ritmi, come il boogie woogie, c’era ancora spazio per qualche novità, capace di recepire il rinnovamento, ma anche il senso della transizione (“Dove sta Zazà” di Cioffi e Cutolo; “Tammuriata nera” dell’intramontabile E.A. Mario).

IL DOPOGUERRA: VOGLIA DI RIMOZIONE E  DI MINIMIZZAZIONE.

Il clima del dopoguerra è bene rappresentato dal ritornello di Simmo ’e Napule: Scurdammoce o passato!”, in quanto il compito della canzone è di sollevare lo spirito degli italiani. Sotto la pressione della musica leggera americana, si afferma il protezionismo mercantile di quella italiana, con la definizione di una “canzone all’italiana”. La produzione predilige i consueti filoni:

La questione del confine orientale diviene spunto per “Trieste mia” cantata in un film da Luciano Tajoli, e per Vola colomba, grande successo di Nilla Pizzi, al Sanremo del 1952.

Tra la fine degli anni quaranta e inizi degli anni cinquanta, la canzone italiana rimane isolata e non segue le linee di rinnovamento che giungono dall’incubazione del rock americano o dall’apporto “alto” dei poeti dell’esistenzialismo della canzone francese (Sartre, Prévert). Casomai giungono i ritmi latino-americani, importati attraverso le commedie musicali di Macario e di Wanda Osiris. La canzone italiana sopravvive negli accompagnamenti musicali delle prime pubblicità televisive, nelle esecuzioni delle orchestre che operano all’interno della Rai (Angelini, Barzizza, Canfora, Trovajoli, Kramer, Luzzati), e nel festival di Sanremo e pure in quello della canzone partenopea con Roberto Murolo e soprattutto con Renato Carosone che approda ad un gruppo orchestrale che riprende i motivi nord americani e li rilegge con riflessi mediterranei (Caravan Petrol, Torero, Tu vuo’ fa’ l’americano). Sono gli anni di “Campanaro”, “Buongiorno tristezza”, “Vecchio scarpone”, ma anche del boom dei dischi con “Grazie dei fior” interpretata da Nilla Pizzi (1951) canzone vincente del primo “Sanremo” della storia, “Papaveri e papere“, “Casetta in Canadà” e “Tutte le mamme” (1954).

DOPO LA SECONDA GUERRA MONDIALE NASCE IL FESTIVAL DI SANREMO

Dopo la seconda guerra mondiale in Italia si diffusero velocemente tutte le mode straniere: dalle canzoni di Cole Porter e Frank Sinastra al jazz di Louis Armostrong e Benny Goodman, dalle colonne sonore dei film di Hollywood ai ritmi sudamericani della samba e della rumba.
Nel 1951, forse per rilanciare la tradizione canora nel nostro paese, nasce Sanremo il festival della canzone italiana. A Sanremo, fin dagli inizi, dominano i cantanti che ripropongono i testi e le melodie più tradizionali: Nilla Pizzi, Claudio Villa, Luciano Tajoli e Achille Togliani.
Trionfano canzoni con titoli come Grazie dei fior, Tutte le mamme, Vola colomba ecc.
I temi sono sempre gli stessi (l’amore, la mamma, qualche volta la patria) e per di più trattati con molta retorica: in pochi anni il festival di Sanremo diventa il simbolo dell’Italia sentimentale e lacrimosa.

Verso la fine degli anni cinquanta si ha la contrapposizione tra melodici e urlatori.
In questo periodo si affermano alcuni cantanti italiani che prendono a modello i rockers americani come Elvis Presley, Paul Anka e i Platters. Nel ’58 Tony Dallara lancia “Come prima”, la prima canzone ritmica italiana, che assume cioè elementi della musica rock. Si determina così una spaccatura fra “melodici”, cioè cantanti che restano legati alla tradizione della canzone italiana, e “urlatori”, cioè cantanti che accolgono elementi tipici del rock and roll.
Fra questi ultimi si impone dapprima Peppino di Capri, che rinnova la canzone napoletana inserendovi dei ritmi rockeggianti; ma è Domenico Modugno, che nel ’58 trionfa a Sanremo con Nel blu dipinto di blu, a portare una decisa ventata di novità.

LA MUSICA NEGLI ANNI ’60 (VIDEO Parte 1)(VIDEO Parte 2)

Agli inizi degli anni sessanta la canzone italiana, oltre a subire le influenze del rock americano, deve fare i conti anche con l’influsso del beat inglese. Nascono le canzoni impegnate” e si formano i primi complessi che alternano la semplice imitazione dei modelli stranieri (come i Beatles e i Rolling Stones) con la ricerca di espressioni proprie e più originali. I giovani si riconoscono nei testi delle loro canzoni e inizia l’era delle chitarre e dei capelli lunghi. Si affermano grandi interpreti solisti che ancora oggi sono amati e apprezzati da giovani e meno giovani: Mina, Adriano Celentano e Gianni Morandi che resteranno per decenni fra i cantanti italiani più conosciuti nel mondo. 

Negli anni sessanta si affermano i primi cantautori

La contrapposizione fra melodici e urlatori non ebbe né vincitori né vinti. Il vero elemento di novità, negli anni sessanta, fu costituito da un gruppo di musicisti le cui canzoni parlavano un linguaggio più aderente alla realtà e nello stesso tempo recuperavano alcuni aspetti della tradizione popolare.
I cantautori italiani (così furono detti, poiché scrivevano i propri testi e le proprie canzoni, al contrario dei loro predecessori che si limitavano a interpretare canzoni scritte da altri) misero in discussione alcuni dei canoni tradizionali della musica leggera.
Le loro canzoni si basavano su un accompagnamento semplice, spesso affidato solo alla chitarra; inoltre davano la massima importanza al testo, affrontavano talvolta temi sociali, ma soprattutto rinnovavano il repertorio dei temi tradizionali come l’amore e la famiglia, evitando i luoghi comuni e le banalità.
I cantautori più importanti degli anni sessanta sono quelli appartenenti alla cosiddetta “scuola genovese”: Umberto Bindi, Gino Paoli, Luigi Tenco, Bruno Lauzi, Fabrizio De André; si affermano però anche i milanesi Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci, l’astigiano Paolo Conte e l’istriano Sergio Endrigo.

Negli anni sessanta nascono anche i primi complessi beat

Accanto ai cantautori, nella seconda metà degli anni sessanta si affermano anche in Italia i primi complessi, come i Giganti, i Dik Dik, l’Equipe 84, nati sull’onda del successo dei complessi beat inglesi e americani.
Questi gruppi inizialmente si limitarono a reinterpretare o a imitare le canzoni dei complessi stranieri, ma ben presto svilupparono uno stile originale, legato alla tradizione melodica italiana. Fra i gruppi più significativi di questa stagione musicale ricordiamo I ricchi e poveri, i Matia Bazar e i Pooh.
Alcuni complessi, come PFM e le Orme, accolsero invece le tendenze più sperimentali del rock, ma senza ottenere un grande successo di pubblico.

NEGLI ANNI SETTANTA EMERGE UNA NUOVA GENERAZIONE DI CANTAUTORI.

Mentre i complessi esauriscono in pochi anni la loro antica innovativa, i cantautori affermatisi negli anni sessanta riescono a lasciare un segno più duraturo, influenzando le generazioni successive di musicisti.
Durante gli anni settanta si afferma un nuovo gruppo di cantautori, primo fra tutti Lucio Battisti, il quale ottiene un grandissimo successo anche grazie alla collaborazione del paroliere Mogol.
A Roma emergono Francesco De Gregori, Antonello Venditti, Riccardo Cocciante, Claudio Baglioni e Renato Zero; a Milano Eugenio Finardi e Roberto Vecchioni; a Napoli Edoardo Bennato e Pino Daniele; a Bologna Lucio Dalla e Francesco Guccini; a Genova Ivano Fossati e infine, in Sicilia, Franco Battiato.
Ciascuno di loro sviluppa uno stile personale e originale contaminazioni con il jazz e il folk; ma soprattutto questa generazione di cantautori si distingue dalla precedente perché attribuisce maggiore importanza alla musica, utilizza molti strumenti diversi (non più soltanto la chitarra) e arricchisce le proprie melodie con raffinati arrangiamenti.


NEGLI ANNI OTTANTA E NOVANTA LA MUSICA ITALIANA SI APRE ALLE ESPERIENZE INTERNAZIONALI

I cantautori degli anni ottanta, pur inserendosi nella scia della generazione precedente, adottano uno stile più internazionale e tentano di imporsi all’attenzione del pubblico europeo.
E’ il caso di Gianna Nannini, Vasco Rossi e Zucchero  che per primi arrivano a conquistare l’attenzione dei consumatori stranieri.
Si sviluppa intanto una nuova figura di cantautore, meno isolato e più aperto anche alle esigenze del grande pubblico. Anche il Festival di Sanremo comincia a dare spazio ai cantautori, contribuendo spesso al loro successo: Eros Ramazzotti e Jovanotti , per esempio, vengono portati alla ribalta proprio dal Festival nazionale mentre Enrico Ruggeri, già stimato dalla critica, riesce a conquistare un pubblico più vasto attraverso la sua partecipazione al Festival.
Negli anni novanta, oltre a nuovi cantautori di valore spesso discutibile, si impongono grandi interpreti come Giorgia, che rilanciano il gusto per l’aspetto propriamente canoro della musica leggera.
Negli ultimi anni, infine sono emersi anche molti gruppi (Litfiba, Pitura Freska ecc.) che cercano nuove strade rielaborando generi musicali diversi come il rock, il folk e il rap.

L’INDUSTRIA MUSICALE DI OGGI

La musica leggera italiana, soprattutto nell’ultimo decennio, vede un continuo alternarsi di cantanti e gruppi che in pochissimo tempo raggiungono il successo e in ancor meno tempo finiscono la loro carriera, dimenticati per sempre. Questa purtroppo è la legge del mercato discografico: le canzoni devono avere un grande successo immediato ma devono poi sparire per lasciar posto a quelle nuove (e a nuove vendite). La musica soggetta a questa legge si chiama musica di consumo ed è tutta quella che radio, televisione e tecnologie multimediali ci offrono ogni giorno e che è in genere di facile ascolto e di breve durata, cioè un prodotto “usa e getta”.

Oggi il successo di una canzone è legato al look del cantante, alla gestualità e a tutti quei fattori che ne fanno solo un prodotto commerciale. I discografici sono perfettamente al corrente delle esigenze del mercato: sfornando melodie banali ma accattivanti, molo spesso elaborate e realizzate al computer, e studiando a tavolino le strategie di mercato.

I vari talent show televisivi, e altre manifestazioni simili, sono oggi le vetrine di questi prodotti, ma diventa a volte difficile trovare giovani autori e interpreti che riescano a sopravvivere più di una stagione. Ciò non toglie che comunque, anche nella musica di oggi ci siano dei grandissimi nomi che al successo commerciale associano un indubbio talento sia nella scrittura che nell’interpretazione.